Quirino Pollastrini
Roma 1965
Inizia a dipingere nella seconda metà degli anni ottanta mentre frequenta l’Istituto Statale d’Arte di Anzio.
Incoraggiante è il primo viaggio a Parigi con le visite ai prestigiosi musei d’arte: Louvre, Orsay e Beaubourg;
sebbene fondamentali siano per l’artista le mostre di Kandinsky e Sironi a Milano. Del primo dirà in seguito:
“Venni completamente affascinato da quelle forme astratte che sembravano fluttuare vive su bagni liquidi
di chimica cromatica” e del secondo: “L’artista sembra come ricreare una materia di altra natura, solidi,
liquidi e gas sembrano avere tutti la stessa consistenza, una vera fisica pittorica”.
Pollastrini prosegue il suo percorso all’Accademia di Belle Arti di Roma: “Via Ripetta di fine anni ottanta era
un luogo stropicciato di strani personaggi che si aggiravano in un ambiente unto d’olio di lino. Librerie
d’arte, negozi di materiali per artisti che facevano credito, piccole gallerie tormentate da studenti in cerca
di visibilità e caffè-pizzeria illuminati al neon facevano da fondale alla nostra ingenua presunzione di giovani
artisti”. L’eco della Transavanguardia riecheggiava ancora tra qulle strade: “Paladino, Cucchi e Chia erano i
nostri idoli di riferimento, anche se io avevo una predilezione particolare per gli americani Salle, Hearing e
del genio italiano della videoinstallazione Fabrizio Plessi”. Questo è il periodo formativo e sperimentale
della pittura di Pollastrini: “Ero curioso e volevo sapere di tutto, sperimentavo tutte le tecniche e i modelli
iconografici che potevo”, sebbene questa consistente quantità di lavori sembrano unificati da un certo
gusto del grafitismo street-art e scuola fumettistica alla Frigidaire.
Agli inizi dei novanta la ricerca di Pollastrini tende a concentrarsi sulla linea, nella sua peculiarità sia
formante che de-formante, nelle sue possibilità di gestire la zona cromatica: “Mi concentrai sullo studio di
Schiele e di Picasso, passai un altro periodo a Parigi a studiare Matisse, Picasso e Dubuffet, mi interessava
l’idea di una linea creatrice spontanea che gira, si aggira e rigira a formare situazioni”. Da qui un ciclo di
opere di figurazione stilizzata che si protrae fino alla seconda metà degli anni novanta quando, già da
tempo, l’artista risiede stabilmente a Londra.
La Londra degli anni novanta dei New Labour, della principessa Diana ma soprattutto per la Y.B.A che pone
la città come centro mondiale della creatività: “A Londra c’era tutto e il contrario di tutto, si stava
dapertutto, si incontravano tutti”.
Qui Pollastrini si inserisce nell’ambiente artistico frequentando i corsi liberi del Morley College, la
sterminata biblioteca d’arte del Victoria and Albert Museum, i vernissage di Cork Street e i molteplici eventi
della Tate Gallery: “La Tate mi appariva come il vero tempio dell’arte. Qui ebbi modo di incontrare ed
essere folgorato dalla pittura di Turner, era difficile credere che egli avrebbe potuto fare tanto, quanto e
più del suo vicino di pareti, tale Rothko”. Questo periodo segna una svolta nell’opera di Pollastrini, nello
stesso periodo in cui si cimenta professionalmente al mondo della grafica e della pionieristica fotografia
digitale. La sua produzione pittorica diminuisce pur mantenendosi costante. La lezione di Turner unita a
uno sguardo sulla pittura italiana di Morandi, scaturisce in un lungo ciclo di still life ostinatamente
monotematiche, quasi frugali, dove all’enfasi della precedente linearità si sostituisce il gusto della
composizione e della pianificazione cromatica.
Ai primi del duemila Pollastrini rientra in Italia, alternando il lavoro della grafica con quello della pittura,
giunge ad un approfondimento dell’istanza Turneriana. Le opere si fanno libere e compositivamente
svincolate, forse la peculiarità del mare di Anzio, forse un maturato senso ontologico dell’esserci, fanno
scaturire gli Anyscape (ogni possibile paesaggio), un ciclo di lavori che perdura fino a circa il 2016: “Nel ciclo
degli Anyscape la pittura si fa sostrato di pura esistenzialità, dove non si scopre e non si inventa, ma si
incontra. Incontro che può configurarsi in indifferenza o approfondimento conoscitivo”. Le opere si basano
su strutture minimali di appoggio compositivo dove viene ampiamente incoraggiata la possibilità evocativa
delle macchie di Botticelli.
Dal 2017 la pittura di Pollastrini si ri-configura, rielaborando tutte le precedenti esperienze, in una sintesi
fondata sull’ortogonalità compositiva, quasi a togliere di mezzo qualsiasi elemento non necessario alla sua
idea di pittura pura: “Cò che cercavo era una struttura compositiva che enfatizasse le peculiarità della
forma che contiene il colore e il colore che definisce la forma stessa. Una pittura che, senza girarci tanto
intormo, si focalizzi sul potere pigmentale della materia bidimensionalizzata”. Lavori che si introducono con
ciclo evocativamente tra il neoplastico e il concreto, dove linee verticali si contrappongono ad ampie
campiture orizzontali in una intricata modularità eseguita con precisa tecnica hard edge. Di conseguenza a
questa ricerca si sviluppano gli ultimi lavori, che sono ben rappresentati dalla galleria ArteOraTv,
puntualmente curata da Roberto Porcelli, dove la libera pennellata si incontra con la razionalità del
quadrangolo perfetto, così a ricercare una sorta di vibrazione cromo-plastica di musicale analogia: “Una
ricerca utopica di cui non posso garantirme l’esito. Pone una condizione compositiva che esalti la proprietà
cromatica del pigmento, quasi a creare l’equivalente musicale della risonanza, quella che per capirci, ti fa
venire la pelle d’oca”. La ricerca di un verbo cromatico vibrazionale che viene proposto con diverse
modalità iconografiche quali gli “orbitali”, le “vibrazioni” e le “pattern”.
Sebbene schivo all’usanza delle manifestazioni artistiche e soprattutto ai concorsi a premi: “Ritengo che gli
artisti dovrebbero mettere le loro opere come premi piuttosto che partecipare con queste al ricevimento
degli stessi”, Pollastrini ha preferito sempre un contatto diretto, di tipo rinascimentale, tra l’artista e il
collezionista, nel caso con l’aiuto di un buon mediatore. Egli ha volontariamente limitato la sua
partecipazione a mostre personali e collettive. Le sue opere sono presenti in collezioni private e pubbliche.